Ennio Morricone è stato il compositore più apprezzato dai giornalisti televisivi. I quali, per rendere più intrigante un loro servizio, hanno a disposizione brani in grado di conferire a qualsiasi testo, quel qualcosa in più in grado di fare la differenza. C’è da raccontare un ingorgo burocratico che danneggia i cittadini? Basta trovare “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” e il giuoco è fatto. C’è bisogno di una melodia per una mostra d’arte del Novecento? Che ci vuole, basta mettere “Metti una sera a cena”. C’è bisogno di un tema per una caso di cronaca particolare? Troviamo “La donna della domenica” e il problema è risolto. Dobbiamo solennizzare l’addio ad un personaggio conosciuto? Scarichiamo “C’era una volta il West”. Una squadra vince una gara importante? “Mission” ci aspetta per sottolineare gol e canestri.
Dice il verso di un brano di Ornella Vanoni”, “Musica Musica”: “Non puoi fare il sordo quando ti insegue una musica”: Morricone ci insegue da decenni, e continuerà a farlo per chissà quanto tempo, a volte persino ci aspetta al varco per sorprenderci con qualcosa di inaspettato, come la colonna sonora di “The hateful eight” di Quantin Tarantino, probabilmente la meno orecchiabile delle centinaia da lui composte ma che ce lo ha restituito come compositore tout-court, e che doverosamente gli ha fruttato l’Oscar “sul campo”, dopo quello onorario consegnatogli anni prima.
Sarebbe riduttivo infatti confinare Morricone nel novero degli autori di colonne sonore: lui, allievo di Goffredo Petrassi (che sempre ricordava nelle interviste e nei libri), aveva iniziato come arrangiatore di musica leggera (“Se telefonando”, “Sapore di sale”, i successi di Edoardo Vianello e Gianni Morandi). Poi, l’incontro professionale con Sergio Leone (erano compagni di classe alle elementari), e da lì una carriera strepitosa: dagli spaghetti western più preziosi (la trilogia di Leone ma anche “Giù la testa”: chi non ricorda “Sean Sean”?), fino al capolavoro assoluto che è “C’era una volta il West”; il sodalizio con Elio Petri che regala alla storia del cinema e del costume “Indagine su un cittadino alò di sopra di ogni sospetto”; “Allosnafnan” dei fratelli Taviani, tanta Hollywood (Malick, De Palma), la collaborazione immediata con Giuseppe Tornatore…..
Un artista dunque generoso anche con gli autori più giovani, che capiva benissimo l’importanza della serialità televisiva (“Mosè”, “Marco Polo”) e che negli ultimi anni aveva scoperto il gusto di esibirsi dal vivo, assaporando così di persona l’affetto che il pubblico gli dimostrava. Come capita a pochi, Morricone aveva assunto uno status particolare, cui aderiva senza fatica, pur restando distaccato e schivo. Come Federico Fellini e Marcello Mastroianni, Morricone era un italiano di cui andare fieri. Il grande pubblico, che magari non è in grado di distinguere un brano di Riz Ortolani da uno di Armando Trovajoli, uno di Nino Rota da uno di Carlo Rustichelli, sapeva comunque che quel personaggio sempre in secondo piano portava, alla grande, il nome del nostro paese in giro per il mondo incontrando, sempre, il plauso di tutti (come ha sottolineato in modo asciutto e mirabile il presidente Mattarella).
E se dispiace per la triste notizia della sua comparsa (che egli sembra aver gestito con una lucidità impressionante), resta l’orgoglio e la riconoscenza di appartenere ad una nazione che molti considerano un facile zimbello, ma che riesce a dare i natali a personaggi che, in questo caso, definire geni non è affatto un’iperbole.