Era la primavera del 1978
quando, assieme a lei, tutti cantavamo “Com’è bello far l’amore da Trieste in giù”, brano talmente popolare da far dimenticare che il programma di cui era la sigla, “Ma che sera”, fu un flop clamoroso (con tutta probabilità, l’Italia sconvolta dal caso Moro, poca voglia aveva di divertirsi).
Flop dal quale Raffaella Carrà si risollevò quattro anni dopo, con “Fantastico 3”, che la rivide accanto a Corrado nello show collegato alla Lotteria Italia.
In realtà, la carriera della Carrà non fu sempre costellata di successi, come molti ora vogliono farci credere.
A “Pronto Raffaella” e ai suoi cloni, infatti, seguì una triste partentesi in Mediaset, al rientro in Rai fecero seguito i successi incredibili di “Carramba”, una conduzione non memorabile del Festival di Sanremo, un paio di programmi che non hanno lasciato un segno particolare nella storia della tv, il flop di un talent show che avrebbe dovuto laureare nuovi conduttori, l’esperienza da giudice in “The voice of Italy” e, più di recente, una serie di interviste con personaggio famosi, appesantite da un montaggio che, chiaramente, voleva strafare attingendo al materiale d’archivio a disposizione della Rai.
Nel frattempo, però, fedele ad una linea che è tipica dei grandi, ovvero giocando a negarsi, Raffaella Carrà andava consolidando una fama, creatasi negli anni, che l’ha fatta diventare forse prima di tutto un’icona.
Raffaella un icona
Un’icona costruita, a differenza di quanto accaduto in altri casi, su una professionalità ineccepibile, maturata nel corso degli anni a partire dall’esperienza al Centro Sperimentale di Cinematografia. Raffaella Carrà lavorò con Monicelli e De Bosio, recitò a fianco di Mastroianni e di Volontè, persino in un film con Frank Sinatra. Ed assorbì, in pieno, le lezioni dei grandi. In tv, esordì accanto a Nino Ferrer e a Nino Taranto in “Io, Agata e tu”, cui fece seguito “Canzonissima ’70” a fianco di Corrado, bissata l’anno successivo, e la consacrazione definitiva in “Milleluci”, assieme a Mina e con ospiti che fanno rabbrividire, oggi.
La Carrà ha vissuto meglio di altri, data l’età, l’esperienza della RAI di stampo bernabeiano: affidata certamente ai grandi talenti della scena ma costruita anche da autori in grado di trasformare uno spettacolo del sabato sera in qualcosa degno di Broadway (chiedere chi era Antonello Falqui).
Certo, c’è stata anche una carriera parallela di cantante (“Fiesta”, “Forte forte forte”, “A far l’amore comincia tu”, “Salutala per me”) che è proseguita indipendentemente dai programmi televisivi che la videro protagonista. Se insomma in questi giorni ci sentiamo un po’ più tristi è perché questa ragazza romagnola dal talento immenso, ha saputo rimanere, unica ormai con Baudo e Arbore, fedele ad un tipo di televisione che chi ha più di cinquant’anni ricorda con affetto e rimpianto, e di cui, chi ha meno di cinquant’anni, intuisce la grandezza.
Era, Raffaella Carrà, una “mula de gita”: una di quelle persone in grado di mettere allegria, che non volle mai imporsi ma seppe accompagnare le nostre vite regalandoci quei sorrisi che, adesso, ne accompagnano e suggellano il ricordo.