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Coronavirus: il cortocircuito informativo fa più danni del virus

Sono ormai 7 mesi che il nostro Paese vive nell’ansia della pandemia. Abbiamo fatto quasi l’abitudine alle costanti informazioni sul Covid 19, ai bollettini, alle ordinanze: mi ricorda tanto l’attesa che c’era una volta per le previsioni del tempo, ora viviamo nell’ansia di capire il grado di pericolo, di come ci dobbiamo comportare, di cosa ci aspetta nei prossimi mesi. Uno stato di angoscia che attanaglia e ci fa vivere male, metterci uno contro l’altro, togliendoci certezze e minando la positività del futuro. Ma qual è l’origine di questo malessere? Proviamo ad analizzarlo.

I player sono 3: i tecnici/esperti, la politica, i mezzi di informazione.

I virologi in primis, con posizioni molto lontane tra di loro, invece di aiutare sia nella prevenzione che nella fermezza (o meglio, scientificità) delle informazioni, non perdono occasione per litigare in momenti di confronto pubblico. E’ il primo tassello di un domino che innesca una reazione a catena e che mette in moto due “tifoserie” opposte: i negazionisti e gli allarmisti.

Poi c’è la politica con i suoi protagonisti: da una parte gli amministratori, locali e nazionali, che in balia di più o meno ferrati comitati tecnici hanno un andamento ondivago e poco chiaro sulle strategie attuative per prevenire o combattere la pandemia. A questo si aggiungono le opposizioni che non lesinano attacchi alla maggioranza per ottenere vantaggi elettorali.

Infine ci sono i mezzi di informazione: il Coronavirus è stata l’occasione di rilancio per molte testate tradizionali poiché i cittadini cercano l’autorevolezza delle fonti. Purtroppo una parte delle linee editoriali si concentra nel cavalcare l’ansia dei lettori, con titoli ad effetto e il sostegno a tesi a senso unico, senza approfondire e contestualizzare i numeri che vengono diffusi.

E’ di questi giorni una grande enfasi sull’aumento dei contagi, fenomeno che non viene descritto nella sua interezza indicando che contemporaneamente c’è stato un forte incremento del numero dei tamponi e che non esiste un’emergenza sanitaria negli ospedali.

Il risultato è una popolazione in allarme costante, che non trova normalità e non garantisce una serenità di investimenti e di spese che sono alla base della ripresa economica.

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