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Flavio Briatore ai tempi della trasmissione tv The Apprentice

Da Briatore al Reddito di Cittadinanza: cari giovani perché non volete lavorare?

Non volevo credere alle mie orecchie quando, qualche giorno fa, ascoltando la TV, ho sentito Flavio Briatore confessare di essere in difficoltà nel reperire personale per le sue attività sparse nel mondo.

Incuriosita, sono andata a cercarmi l’offerta di lavoro, pubblicata sui social. Briatore in prima persona, attraverso un messaggio video, si rivolge ai ragazzi, offrendo posti di lavoro nei suoi locali di Riyad, Porto Cervo, Montecarlo, Londra, Forte dei Marmi e Dubai, con tanto di contatti mail per l’invio dei curricula. Sta cercando camerieri, assistenti manager, runner. Unico requisito: una conoscenza basica dell’inglese.

Nell’annuncio si parla di salario proporzionale al lavoro svolto e di possibilità di crescita all’interno del Gruppo. Insomma, francamente non mi sembrava una buona opportunità… ma una fantastica opportunità! Un’occupazione stagionale in posti paradisiaci, la possibilità di viaggiare, imparare, conoscere e magari, perché no, anche lavorare con uno degli imprenditori italiani di maggior successo al mondo.

Ma forse i giovani sono cambiati rispetto a qualche decennio fa…e l’impiego offerto da Briatore, dal loro punto di vista, non è
poi così invitante.

Conferma della mia teoria arriva poche ore dopo, con l’annuncio del flop del concorsone pubblico, indetto dal Ministro Brunetta, quello che avrebbe dovuto scovare, al Sud, 2800 tecnici da impiegare, con contratto triennale, nella Pubblica Amministrazione per lavorare alla gestione del Recovery Fund.

Ebbene, si sono presentati in pochi. L’offerta non era allettante. Un contratto a tempo determinato. Meglio aspettare qualcosa di più sicuro…E sì perché intanto c’è il “reddito di cittadinanza”, quel sussidio (perché “reddito” significa utile proveniente da una attività o da un investimento) che lo Stato mette a disposizione di chi si trova senza occupazione. Una misura che dovrebbe essere emergenziale. Un contributo da usare, auspicabilmente, per migliorare la propria formazione e poi inserirsi nel mercato del lavoro ma che, nella maggior parte dei casi, si sta trasformando in “sussidio definitivo”.

Non è un segreto che tanti giovani, invece che mettersi in gioco, preferiscano percepire questo aiuto di Stato senza fare fatica, magari continuando a vivere tranquillamente coi genitori.

Cari ragazzi, il lavoro rende liberi, rende indipendenti, rende soddisfatti di sé stessi. Dovete mettervi alla prova, sviluppare senso del dovere, sporcarvi le mani, capire cosa significa rispettare un orario e un capo. E vedrete che felicità quando incasserete il primo stipendio: sarà un traguardo di crescita fondamentale.

Cari amministratori, facciamo in modo che i sussidi di Stato siano una misura estrema e temporanea. Aiutiamo invece le aziende contribuendo ai costi fissi, detassando l’utile e il costo del lavoro, favorendo le assunzioni e gli investimenti. Vogliamo far ripartire l’economia, risollevare la natalità e mantenere quel benessere che le generazioni precedenti hanno conquistato?

All’Italia serve lavoro non “reddito di cittadinanza”.

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