Ci risiamo.
Qualche anno fa, Ridley Scott scelse Kevin Spacey, per impersonare il vecchio miliardario Paul Getty in un film sul rapimento del nipote.
Spacey, allora, non aveva neanche sessant’anni e venne sottoposto ad ore di trucco. Risultato: un’oscenità a metà fra un troll troppo alto e una sorta di Pippo Baudo troppo basso.
Lo scandalo sessuale che travolse Spacey impose (diciamo così) a Scott di rigirare le scene con l’attore statunitense, sostituendolo con Christopher Plummer: un attore ultraottantenne per impersonare un ultraottantenne.
Il film, come la maggior parte di quelli diretti da Scott negli ultimi anni, si è rivelato una patacca formidabile, ma almeno l’interpretazione di Plummer qualcosa valeva.
Ora, sta per uscire un nuovo film di Ridley Scott, “The House of Gucci”, dedicato al delitto che sconvolse la Milano della moda. Nel ruolo di Patrizia Gucci, Lady Gaga; in quello di Maurizio Gucci, Adam Driver.
Per impersonare Paolo Gucci è stato scelto Jared Leto, con tutta probabilità in ragione del fatto che l’attore è testimonial della maison.
Infatti, se Jared Leto è quasi efebico e poco più che quarantenne, Paolo Gucci è rappresentato come un sessantenne in sovrappeso e calvo. Perciò, sotto con ore di trucco.
Risultato: Jared Leto somiglia a Jeffrey Tambor, il protagonista di “Transparent” (anch’egli caduto in disgrazia causa uno scandalo sessuale).
C’è da chiedersi: Hollywood non dispone di attori non più giovanissimi in grado di impersonare personaggi non più giovanissimi? Per interpretare Paolo Gucci, ad esempio, poteva bastare (…) Richard Jenkins, solido caratterista che fra l’altro pure somiglia all’originale.
Si sceglie invece di prendere un attore belloccio, imbottirlo di protesi e parrucche, con tutta probabilità per riempire articoli di giornali che racconteranno l’ordalia cui il poveraccio è stato sottoposto.
Lo scopo? Molto semplice: garantirgli una candidatura all’Oscar non tanto sulla base della bravura, quanto appunto sullo sforzo rappresentato dallo starsene seduto in attesa che i veri professionisti portino a termine il proprio lavoro.
E’ tipico, va detto anche questo, delle generazioni di attori statunitensi dagli ottanta in giù, utilizzare metodi del genere, per darla a bere al pubblico.
Devi impersonare un pianista? Impari a suonare il pianoforte. Devi impersonare un macellaio? Lavori per un anno in una macelleria. Ingrassi di trenta chili se devi impersonare uno grasso (Marcello Mastroianni così liquidò la performance di Robert De Niro in “Toro Scatenato”: “Da noi si usano i cuscini”).
Solo che, da qualche tempo, il pubblico non ci crede più e considera queste operazioni con una certa sufficienza. Ovvero, per quello che sono.
Tentativi, sempre più maldestri, di ingannare gli spettatori e che fra l’altro ottengono un risultato economicamente opposto a quello desiderato.
Un fan di Jared Leto farà fatica a riconoscerlo affogato in un mare di lattice e non è escluso che tutto ciò possa riflettersi negativamente sulla riuscita del film.
Spiace, ma non stupisce, che sia Ridley Scott a ricorrere a simili mezzucci.
Del resto, l’autore de “I duellanti” e “Alien” si è garantito un posto nella storia del cinema grazie a queste pellicole.
Può permettersi sciocchezze e tonfi, ma fino ad un certo punto.
Soprattutto, da qui in poi: con il cinema in sala che deve ancora comprendere quale sarà il suo futuro, commettere un errore (uno più) potrebbe essere peggio che dannoso.