“Il Coronavirus clinicamente non esiste più”, parola di Alberto Zangrillo direttore della Rianimazione del San Raffaele di Milano. Apriti cielo.

Queste parole, a dire il vero pronunciate anche da altri professionisti in lotta con il Covid-19 in questi mesi, hanno scatenato una bufera sul professionista milanese. Inutile nascondere che siamo appesi a questa speranza con tutto il cuore e che altri sostengono chiaramente come ormai da due settimane quello contro cui si combatte sia “un altro virus”. Meno potente, nettamente meno devastante sui pazienti che presentano ormai un quadro clinico lieve o comunque non tale da costringerli alle terapie intensive e di certo più difficile da individuare. Cioè perfino il tampone fatica a riconoscere la carica virale ormai residua.

Non aspettavamo altro e allora forse la Cina davvero dovrà spiegarci qualcosa. Ma il professor Zangrillo è stato sommerso da dichiarazioni di indignazione da parte di colleghi che lo hanno tacciato di irresponsabilità. Perché si è espresso così o perché è la realtà e ancora non era il caso di dirlo?

A essere onesti non è stato il primo, professionista in prima linea e non da salotto, a sostenerlo in questi giorni. Roberto Rigoli, direttore della Microbiologia di Treviso lo aveva svelato nei giorni scorsi tra le righe di un’intervista che nessuno si era sognato di smentire. La Foche proprio ieri sul Corriere diceva qualcosa di molto simile in previsione di una nuovamente ondata che sarà più blanda.

Dobbiamo restare rintanati, a distanza e ostaggio di mascherine ancora per molto? Oppure attendiamo che una OMS dalle armi spuntate e la scarsa efficacia dia il via libera. Forse meglio metterci chiaramente davanti a dati di fatto, dirci che come per la Mers e la Sars sparirà all’improvviso e liberarci dalla litania dei virologi da talk show, gli unici che davanti a una soluzione salvifica hanno tutto da perdere: per lo meno la poltrona in Tv.