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Un orizzonte di montagna

Il Natale degli “ultimi”, che siamo anche noi, per primi

Per tutti quelli che il Natale è solo una festa consumistica e/o una grandissima rottura di scatole, quest’anno va di lusso: niente aperitivi o cene (obbligatorie) col capo, niente corsa in centro al 24 pomeriggio a caccia dell’ultimo regalo e soprattutto niente catene di messaggi impersonali che danno l’orticaria.

Questepersone risparmieranno parecchi denari e non saranno costretti ad ingollare ettolitri di prosecco, quintali di panettone e sacchi interi patatine. No, a queste persone questo strano Natale tutto sommato può anche andar bene. Ma poi ci sono anche tutti gli altri.

In primis mi viene da pensare a quelle famiglie a cui questa pandemia ha portato via un parente. Per molti altri il Natale passerà attraverso il contatto passato dalla “stanza degli abbracci” oppure tramite lo schermo del telefonino di un infermiere dal buon cuore pronto a mettere in contatto i degenti ricoverati nelle rsa con i loro parenti. In tantissimi sfideranno le multe e i posti di blocco pur di festeggiare assieme ai propri cari pur di sfuggire a delle regole che non comprendono mente la maggioranza degli
italiani se ne starà a casa rispettanto distanze e decreti.

E poi ci sono, come in ogni Natale che si rispetti, le persone sole. Sono gli invisibili, quelli che non hanno nessuno da ospitare a tavola né sono stati invitati. Sono quelle persone che, per una ragione o per un’altra, si sono trovate nel bel mezzo della loro vita da sole e proprio la notte di Natale la loro solitudine diventa sconforto. Per molte persone là fuori l’aria di festa, il suono delle
campane, gli spot della famiglia felice con tanto di maglione di lana rosso con ricamata sopra la renna o il pattinatore, non sono altro che freccie puntate al cuore.

Le feste di Natale sono da sempre il momento dell’anno con il maggior tasso di suicidi: è in questa follia consumistica che chi è più esposto alla solitudine e alla disperazione decide di farla finita. La società ci vuole belli, vincenti, felici e sorridenti. Chi non rispetta questi standard è automaticamente tagliato fuori.

Forse quest’anno questi inutili cliché ce li siamo risparmiati, ma arriviamo alla fine di questo 2020 con addosso un carico di rabbia e frustrazioni pesantissimo. Appurato che durante il primo lockdown il numero dei suicidi è stato altissimo, specialmente nel Nord Est, prevedo che durante queste festività i numeri saliranno ancora di più. E come sempre ci troveremo a fare le analisi “a caldo”, a posteriori, quando ormai il fenomeno si sarà già consumato. Magari, per una volta, potremmo provare ad arrivare prima…

Recentemente, il sindaco di un piccolo comune italiano, a margine di un incontro dove il sottoscritto si trovava ad enunciare le proprie teorie e riflessioni sul mondo adolescenziale, mi ha detto: “Voi psicologi siete bravi a fare diagnosi ma vi occupate poco di cura.”. Parole che mi hanno toccato profondamente e mi hanno fatto riflettere, soprattuto perché il mio stile terapeutico è spesso più simile ad un corpo a corpo che ad una seduta di psicoterapia.

Ovviamente sul tema del suicidio non c’è una soluzione univoca, ogni caso è a sé stante ma la stragrande maggioranza dei casi presenta delle analogie importantissime. Ci sono dei segnali che l’aspirante suicida invia alle persone vicine, segnali che sottengono alla volontà di essere salvato. Il suicidio in fondo non è altro che un’impossibilità di vedere, o immaginare, un’altra possibilità di vita ed è per questa ragione che viene visto come una vera e propria liberazione.

Se la vita è troppo distante dai canoni di questa sorridente società, allora sarà difficile trovare un senso all’esistenza.

Tutti noi dovremmo sforzarci di essere più vicini agli altri e più veri nelle relazioni. Quando una persona ci chiede come stiamo, senza nemmeno accorgecene rispondiamo: “Bene grazie”. E’ un convenevole: nessuno si interessa veramente di come stiamo e molto probabilmente non lo sappiamo nemmeno noi… Questa mancanza di interesse è davvero triste.

Il sorriso del lampadato che corre sul suv a far compere non è reale, rappresenta soltanto un’impalcatura posticcia che deve essere sfoggiata nonappena si varca la porta del garage. Siamo tutti sulla stessa barca, abbiamo tutti gli stessi problemi, le stesse paure e debolezze. Invece di snobbarci, potremmo imparare a tenerci compagnia abbassando, di tanto in tanto, quelle che sono le nostre difese cercando di tirare verso di noi anche quelli che silenziosamente sono finiti ai margini.

Non è colpa loro, non è colpa di nessuno.

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