Il supremo NO a Xi Jinping
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Il risoluto “no” a Xi Jinping

C’era un tempo in cui un viaggiatore visionario italiano di nome Marco Polo, decise di aprire una via di stabili scambi culturali e commerciali con la lontanissima Cina.

Sì, è stato un italiano il primo a creare una forte connessione tra Cina ed Europa, attraverso le sue testimonianze sulla Via della Seta che però nel tempo ha subito decisamente un “inversione di rotta”

Pensate, se nel 1271 un viaggiatore veneziano vedeva nell’allora Catai una prospettiva di ricchezza, nel 2013 un pechinese (abitante di Pechino, cosa avevate pensato?) il leader supremo , il presidente, l’imperatore Xi Jinping ha pensato la stessa cosa…..ma solo un po’ più un grande.

Nel 2013, un anno dopo l’insediamento alla presidenza della Repubblica popolare cinese, Xi Jinping ha proclamato al popolo il suo progetto, il Belt and Road (Cintura e Strada).

Qualche anno dopo, nel 2019, al posto del veneziano Marco Polo, a rappresentare l’Italia avevamo nel ruolo di vicepremier Luigi Di Maio e in quello di premier Giuseppe Conte che accolsero a braccia aperte il presidente cinese, irritando i nostri alleati storici americani, preoccupati dal programma di Xi.

Giuseppi (così soprannominato da Trump) però, probabilmente non aveva memoria degli allarmi che qualche anno prima aveva lanciato, l’allora Presidente degli Usa, Barack Obama.

Dopo il G7 di giugno.

Ora l’Italia è guidata dal Presidente del Consiglio Mario Draghi, che di esperienza internazionale ne ha.

Il premier riaffermando con forza l’alleanza con gli Usa, ha pubblicamente detto addio alla “nuova via della seta” , almeno a quella pensata da Xi Jinping.

Mario Draghi ha scelto per la prima volta dal 2012, di usare il Golden power per difendere le aziende italiane e sopratutto i porti italiani.
Gli scali di Genova e Trieste, erano punti importanti nelle strategie di espansione dell’imperatore Xi.
Gli ideali cavalli di Troia.

Ma perché diffidiamo dei loro soldi?

Perché Giuseppi si sbagliava?

In fondo, la Cina è conosciuta per gli impressionanti investimenti di Stato che hanno portato al popolo cinese, autostrade a otto corsie, sistemi di trasporto moderni come i treni ad alta velocità, costruendo un aeroporto dopo l’altro, tanto da programmare un incremento che nel 2035 vedrà la Cina passare dagli attuali 216, a 450 aeroporti.

Il tutto ovviamente connesso con rete a fibra ottica.

Non saremo subalterni all’impero di Xi

Giuseppi e chi come lui, si sbagliava a pensare che la nuova via della seta fosse la nostra possibilità di rilancio economico, perchè l’idea di Xi era di un rapporto di scambi ma “subalterno”.

Quanto visto fino ad oggi in altri paesi, tra cui Germania e Francia, racconta che gli investimenti fatti sotto il programma Belt and Road nei paesi extra Cina, sembrano molto “cintura” intesa come pressione, e molto poco “strada”.

Quella cinese, sarebbe una espansione per noi condizionata dal rispetto dei loro modelli.
Modelli diversi, derivanti da profonde differenze culturali esistenti tra Cina e Occidente.

Lo spiega molto bene Federico Rampini nel suo libro La seconda guerra fredda, definendo Xi Jinping, il primo presidente dopo Mao, che teorizza apertamente la superiorità del suo modello autoritario rispetto alle nostre liberal-democrazie.

Ma interessanti sono anche le analisi proposte da Astrid Nordin del King’s College di Londra e Graham Smoith dell’Università di Leeds.

Nelle loro analisi, distinguono occidentali e cinesi attribuendo ai primi un sistema di relazioni fondate sulla libera cooperazione tra pari che rispettano le differenze tra loro, mentre riconoscono ai cinesi un pensiero di relazioni nelle quali il giovane emula il più esperto.

La contrapposizione tra il rispetto della parità, e il rispetto della gerarchia.

In sostanza, a mio avviso, la nuova via della seta mostra preoccupanti segni distintivi propri dell’imperialismo.

L’esempio drammatico degli uiguri

E un esempio esplicito, lo troviamo nello sfruttamento degli uiguri , minoranza etnica di religione mussulmana, che vive principalmente nella regione autonoma dello Xinjiang in Cina.

Una inchiesta del 2020 pubblicata dal Washington Post, racconta dello sfruttamento degli uiguri da parte di alcuni fornitori cinesi di grossi marchi internazionali come Nike, Apple, Volkswagen. Persone che sono state trasferite forzatamente nelle fabbriche lontano da casa, recluse e sottopagate.

Ancora, un report del Center for Global Policy del 2020 pubblicato dalla Bbc , racconta del business del cotone e lo sfruttamento cinese della minoranza uigura.

Una chiara denuncia di violazione dei diritti umani, perpetrata dall’Impero Cinese.
210 mila persone costrette a lavorare per uno dei maggiori produttori di cotone cinesi , nelle mani di una potente organizzazione paramilitare.

Tornando a casa nostra, Draghi è già intervenuto contestando l’autocrazia di Pechino ed esercitando il “golden power” contro un impresa cinese in Italia.

Il nostro attuale premier ha evidentemente studiato il nemico.

Mi piace pensare che Mario Draghi si sia ispirato al generale e filosofo cinese Sun Tzu che nel suo trattato di strategia militare scriveva:

Se non si conoscono i piani dei signori vicini, non si possono stringere alleanze….. Si rifletta con cura prima di muoversi; vince chi per primo conosce le strategie dirette e indirette.

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