“Si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio…” cantava l’inarrivabile De Andrè. Forse ai suoi tempi la bramosia dell’apparire non era così accentuata così come si manifesta oggigiorno ma l’animo sensibile del poeta gli permise di carpire anche questo aspetto dell’essere umano.
E chi è che può arrogarsi il diritto di dare il giusto consiglio, se non chi è abituato a dimorare sull’albero del Bene e del Male di biblica memoria? Ma chi sono in realtà i “buoni moderni”? Proviamo a farne un quadro.
I nuovi paladini della morale sono quelli che si auto celebrano “equi e solidali”, che indossano sciarpe a luglio e ciabattoni in pelle di mucca anche con 10 gradi sotto zero. Sono quelli che cantare l’inno di Mameli o esporre il tricolore sul balcone significa strizzare l’occhio al sovranismo, o perché no?, al fascismo. Hanno goduto come ricci quando Merkel e Sarkozy deridevano l’Italia ma si sono indignati quando Berlusconi, nella sede del Parlamento Europeo, distrusse con una battuta il nobile Shulz, uno dei tanti europei che vede l’Italia e gli italiani soltanto come una massa di ignoranti mangia spaghetti intenti a seguire alla tv un pallone che rotola.
I buoni hanno esultato come Tardelli ai mondiali dell’82 quando in una notte d’estate di pochi giorni fa ci siamo indebitati con i soldi delle nostre stesse tasse. “Capolavoro!” titolavano i giornali e i post su facebook. E sono stati ancora più gioiosi e felici quando ci hanno ammonito da lassù, Bruxelles mica il Paradiso, che avrebbero monitorato ogni singolo centesimo datoci in prestito.
Già perché secondo i Nostri, i soldi in mano agli italiani servono solo per ungere ingranaggi, spartire poltrone o affidare incarichi a vecchi compagni di classe. Ah no, questa dei compagno di classe, o dei compagni in generale, è meglio non dirla troppa ad alta voce…
I nostri eroi però sono buoni solo con gli altri, perché esserlo con l’invisibile vicino di casa non gonfia il petto e nemmeno riempie di likes la propria bacheca social. Sono integerrimi invece contro chi ha semplicemente un’idea diversa dalla loro e in questi casi la loro bontà è un comodo via libera per l’insulto, la minaccia e talvolta anche per la violenza. Non credo vi servano esempi per
comprendere meglio le mie parole.
Sapete, essere buoni a questa maniera è molto semplice: basta semplicemente snobbare il prossimo e spalancare il cuore a qualsiasi cosa provenga da lontano: bandiere, canzoni, cultura, religione, non importa: l’importante è che il tutto abbia un sapore esotico. Ad intenerirsi per un barboncino che sbarca a Lampedusa è un attimo. Solidarizzare invece con l’esercente che non ha riaperto l’attività di famiglia, è roba da sovranisti, di quelli rozzi che urlano con la bava alla bocca: “Prima gli italiani!” mentre si fanno un selfie. E non vale più nemmeno il discorso che l’incontro con il diverso ci arricchisce, siamo arrivati al punto che il diverso rappresenta in toto il modello culturale al quale aderire; “l’avanguardia” disse qualcuna.
Ma com’è che si diventa così (buoni)?
Credo fermamente che tutto nasca da un conflitto interiore dove l’intolleranza, i soprusi, l’odio e la violenza che si va a combattere nel mondo esterno rappresentino la drammatizzazione di ciò che si ha dentro e di cui spesso non si è nemmeno consapevoli. Quando queste persone parlano, spesso appoggiandosi ad una buona dose di spocchia misto arroganza, sanno benissimo di provocare una sorta di fastidio nell’interlocutore. E’ un effetto voluto e funzionale a creare una qualche reazione di stizza, quella che servirà poi per etichettare l’altro come: razzista, omofobo, ignorante e chi più ne ha, più ne metta. E quando l’etichetta arriva, il buono chiude la discussione soddisfatto: giustizia è fatta!
Lo so, non vi sto raccontando niente di nuovo…
Ma come in ogni narrazione che si rispetti, è pur necessario che ci sia un lieto fine. Allora sono qui a dirvi con forza che i veri buoni esistono ancora, e sono tutte quelle persone normali che in modo silenzioso ed onesto combattono ogni giorno la battaglia della vita. Sono gli invisibili, sono gli ultimi in classifica, sono quelli che non fanno notizia e vanno avanti nonostante il disprezzo dei loro simili. Sono quelli che hanno pietà anche di quelli che li deridono o che gli preferiscono un petalosissimo barboncino appena sbarcato da chissà quale paese in guerra.