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Venezia deserta durante il lockdown

La pandemia? Un diluvio di parole

Nell’ultimo anno e mezzo, quel periodo della nostra vita che passerà alla storia come “Epoca Covid” e che francamente mi auguro si concluda al più presto, sono state coniate nuove parole e portati in auge molti modi di dire.

Tutto è iniziato con quel “andrà tutto bene” divenuto, nel giro di una settimana, la parola d’ordine di ogni italiano. Un aggregatore tematico che in poche ore ha firmato centinaia di migliaia di post su Instagram. Eravamo al 9 marzo 2020 e stavamo sperimentando la prima settimana di “lockdown” della nostra vita.

Eccola la seconda espressione salita alla ribalta al tempo della pandemia: “lockdown”, tecnicamente confinamento. In altre parole tutti chiusi in casa, si esce solo per andare in farmacia o a fare la spesa. “Andrà tutto bene” e “lockdown” si sono mossi a braccetto per quasi tre mesi. Gli italiani hanno responsabilmente accettato di smettere di lavorare, di uscire, di andare a scuola, di vivere la loro socialità. La situazione appariva quanto mai grave. Il Covid era uno sconosciuto. Lo Stato ha chiesto a tutti responsabilità e gli italiani hanno risposto positivamente, con l’auspicio che stringere i denti avrebbe aiutato a far “andare tutto bene”.

Nel frattempo si faceva spazio una terza formula, divenuta poi famosa: “nessuno sarà lasciato indietro”. A causa delle pesanti restrizioni, cominciavano ad evidenziarsi differenze tra chi, in ogni caso, lo stipendio a fine mese lo percepiva e chi, come le partite IVA, si riscopriva “non garantito”. Negozianti, ristoratori, lavoratori del mondo dello spettacolo, dello sport e tanti altri si sono ritrovati improvvisamente impossibilitati a svolgere il loro mestiere ma con tutte le spese fisse e le tasse che regolarmente pesavano sulle loro spalle.

Per calmare le prime proteste, qualcuno una sera, all’ora di cena, con tono autorevole e paterno disse: “nessuno verrà lasciato indietro”, altra locuzione molto gettonata nell’era Covid. Che si trattasse solo di una espressione verbale, gli italiani se ne sono accorti abbastanza presto, quasi contemporaneamente all’entrata in uso del temine “bonus”. Bonus monopattino, bonus vacanze, bonus babysitter… tante sono state le declinazioni di questo vocabolo. Nei “bonus” sono state versate parecchie risorse pubbliche, dimenticando che forse la priorità doveva essere supportare chi, a causa delle chiusure, non poteva lavorare e stava vivendo una pesante crisi economica.

Mentre tra l’opinione pubblica montava un certo malcontento, si cominciò a parlare di “resilienza”. In psicologia la resilienza è la capacità che ognuno di noi ha nell’affrontare e superare momenti di difficoltà. Ma era una speranza di chi ci governava più che la descrizione di un atteggiamento diffuso.

Gli italiani iniziavano a mostrare irrequietezza, favorita dal “coprifuoco” e da un rientro a scuola, nell’autunno 2020, a singhiozzo.
Dopo mesi di “dad”, neologismo per indicare la nuova scuola “a domicilio”, alcuni politici avevano pensato che migliaia di “banchi a rotelle”, sedute didattiche innovative, avrebbero garantito un anno scolastico in presenza e in sicurezza.

Degna di nota è infine l’espressione “cambio di passo”. Chiamata in causa in ogni occasione negli ultimi mesi, è stata una formula inflazionatissima nel descrivere le aspettative degli italiani nei confronti del Governo Draghi. Si è parlato di necessità di “cambio di passo” in tema di piano vaccinale, riaperture, turismo, scuola, ristori. Perfino il Recovery Plan è stato coinvolto da un “cambio di passo”, nel progettare un’Italia più digitale e sostenibile.

Ora però è tempo di agire.

L’epoca delle comunicazioni in stile talk show è finita. L’Italia, dopo la pandemia e dopo parecchi anni di declino, deve rialzarsi ed è compito della politica amministrare al meglio la cosa pubblica. In altre parole bisogna passare dai discorsi, dalle conferenze stampa, dalla teoria alla pratica.

Altrimenti la strategia senza azione suonerà come una sconfitta.

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