L’aura (Famulari) non c’è, s’andea per la via

Non era l’andar suo cosa mortale, ma d’angelica forma; e le parole sonavan altro, che pur voce humana.”Vergognatevi!!!” e poi ancor quel soave “Avarino si faccia una domanda” o torni verso il Piave; perchè il faticoso inceder della favella costringea a irromper nel cozzo verbale l’amata bella: “Vengo sempre interrotta, in questa trasmissione”. Come a dir non mi si usa lezio in questo loco, manco una pugna tra arditi chè quei tempi son finiti.

Era quel dì di notte quando L’aura andea per onde “in tv direte voi oggi” pur arrischiando senza sponde; ma di ella la battaglia avea inizio con lieve schermaglia, al sorger del sole per ambasciata di otra accompagnata: “Non consentire al sindaco di offendere”, dicea per via di fedele compagna preparando la campagna. E lo sventurato conducator che al podestà già più volte si pose con rigor: “Chieda scusa a Famulari”, si arrischiò, innanzi al pubblico ludibrio di una gogna senza equilibrio.

Ma tra cotante fiere di denti aguzzi, L’aura incedea con sonore cantate. Eppur si mosse quel periodare su tempi, nati e canuti andare. “Dipiazza è più anziano di Russo?” Indubitabilmente s’arrischiò la sventurata, e incompresa la platea di un sol boccone fece di ea.

Qual orrore per quel “dolce riso”, finì per adirare il suo viso. Poichè “l’esca amorosa al petto avea”, fatalmente desinò in una tresca clamorosa. E allor gli ottusi astanti, si adirarono in quegli istanti. Sull’atavica abilità di adir consensi, si opposero oscurati sensi. Urla, strepiti e schermaglie che manco le accozzaglie.

Toccò di nuovo al locatore riportare un buon umore, certo che “Uno spirto celeste, un vivo sole fu quel ch’i’ vidi”, quell’aura e pura evidententemente non v’era. Di tal fatta perdea la staffa mentre la favella si facea gridella: “Sono deficiente io?” e simbolismo fu, scivolando nel sillogismo, d’un volgo mai vissuto per un ruolo ch’avea da esser assoluto.

Eppur Petrarca di lei è l’essenza, di questa resistenza. O bella mia allora diam spazio alla desistenza. Un buon pasto è la desinenza, prometea con insistenza. L’abbraccio mio è scherzoso, per non tornare nel rissoso. La campagna è ormai alle porte, per non uscir con le ossa storte.

Ferdinando Avarino

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