Chissà, forse pensando di essere più scaltro di lei, Roberto Gervaso chiese un giorno a Franca Valeri: “Il vero gentiluomo può mettersi le dita nel naso a casa sua?”. Fulminea la risposta: “Il vero gentiluomo non si mette mai le dita nel naso a casa propria”.
Sta tutta (…..) qui, Franca Valeri. Con una battuta, riusciva a rimettere in riga più di una classe sociale, rivendicando il diritto ad una libertà individuale che poteva infischiarsi delle convenzioni: beninteso all’interno di una serie di codici che altro erano rispetto a quelli dominanti.
Ecco spiegati quei ritratti al vetriolo che condannavano anzitempo una borghesia milanesotta che forse già si ricopriva delle nefandezze che Tangentopoli avrebbe rivelato una trentina d’anni dopo; ma ecco anche spiegata l’indulgenza nei confronti della signora Cecioni, che la Valeri non ha mai giudicato con la cattiveria che utilizzava per la signorina snob, per “la ragazza ricca che lavora” o per “la dama benefica”. C’era, da parte sua, quel rispetto nei confronti della gente comune che, va detto, a parecchi intellettuali di sinistra è sempre mancato (basterebbe rileggere quello che Dacia Maraini pensava del quartiere romano dove visse per qualche tempo: lo scritto, che testimonia un atteggiamento tremendamente “blasèe”, si trova nel libro “Contro Roma”) e che spiega come mai le arrise sempre un notevole successo popolare.
Lei, che assieme a Vittorio Caprioli ed Alberto Bonucci aveva portato la propria idea di cabaret “alto” addirittura a Parigi, a partire dagli anni Sessanta è sempre stata una presenza più che gradita, nelle case degli italiani, grazie alla televisione: una sorta di zia magari eccentrica, pronta a raccontare delle tante se stesse senza tema di annoiare, perché così non è mai stato.
Fra l’altro, con un’intelligenza fuori dal comune, Franca Valeri aveva compreso che la stagione della Commedia Cinematografica italiana più celebrata, quella che parte con “Il sorpasso”, poco le avrebbe concesso. Perciò, il suo apportro, dagli anni Sessanta in poi, risulta meno che sporadico se si eccettuano “Parigi o cara” e qualche partecipazione di lusso (irresistibile, quella in “Basta guardarla” del suo antico sodale Luciano Salce): lei, che diede vita a duetti memorabili con Alberto Sordi, dirada le apparizioni sul grande schermo perché da allora e perlomeno per una ventina d’anni, il suo palcoscenico è stato la televisione: quella intelligente, dei sabato sera firmati Antonello Falqui.
Poi, il rientro a teatro: come regista di opere liriche (la sua grande passione), e anche, negli ultimi anni, come autrice di se stessa. Quando poi, causa la malattia e l’età, non potè più affrontare la scena (siccome parlare le costava fatica, in sostanza non lo faceva fino alla recita serale: una dedizione al lavoro che ha dell’impressionante, soprattutto oggi), la scrittura ci restituì ancora una volta un’attenta osservatrice delle cose del nostro paese, da un punto di vista femminile ma non solo, e certamente non “femminilmente esasperato”.
Mancherà, Franca Valeri. Mancherà il caschetto di capelli disegnato da Vergottini, mancherà quel vestitino semplice ma ricercatissimo, mancherà la battuta rapida e tagliente, mancherà quell’ironia rivolta a se stessa che è l’arma più micidiale a disposizione dei grandi comici perché tale da proteggerli da ogni attacco.
Stupisce, ma neppure tanto, che in questi ultimi anni molte si siano anticipatamente appropriate della sua eredità: soprattutto Luciana Littizzetto, sulla quale pesa come un macigno una battuta di Sandra Mondaini, così perfida da poter essere stata pensata dalla stessa Valeri: “Non capisco perché debba ricorrere a tante parolacce: è tanto brutta di suo, che fa già ridere di suo”.
Franca Valeri non ha mai avuto bisogno di battute basse, per strappare un sorriso, e non perché non fosse avvenente: agli occhi di chi scrive, e di chi le ha voluto bene, è sempre stata bellissima. E ci ha fatto ridere. Sempre e comunque.