E’ già passato un anno.
In un primo momento siamo rimasti come inebetiti, colmi di stupore ed in attesa.
Abbiamo dovuto imparare il significato di pandemia, scoprendo che deriva dal greco, in una unione tra l’aggettivo pan ed il sostantivo demos: OGNI PERSONA DEL POPOLO , cioè tutti noi, coinvolti nella possibile diffusione, anche inconsapevole ed asintomatica, di un virus aggressivo e mortale.
Compresa la gravità abbiamo accettato, quasi sempre di buon grado, la “reclusione forzata” nelle nostre abitazioni, scoprendo spesso che quei pochi metri quadri, senza giardino o aree destinate al “respiro della natura”, andavano benissimo finché la nostra vita era incentrata sulla professione che ci definiva, sulle corse interminabili in giornate troppo brevi per i nostri mille impegni, ma diveniva una gabbia, nel momento in cui il tempo si dilatava in diurni infinitamente vuoti e notturni infestati da pensieri.
Le cene e gli aperitivi, organizzati con il supporto delle mille piattaforme utili a colmare la distanza con i nostri cari, con gli amici, si sono trasformate in una nuova normalità. I soggiorni addobbati come uffici per lo smart working, le camerette ripulite per la Dad, l’abbigliamento a metà, ché tanto nessuno ci vedeva a figura intera. Tutti panificatori, pizzaioli e chef!
Poi il “libera tutti” estivo, rispettando le distanze, limitando gli abbracci, celando i sorrisi dietro mascherine sempre più cool. Le chiacchiere da ombrellone, le informazioni raccolte dal Dr. Google per contestare ministri, sistema sanitario mondiale, virologi e chiunque ci mettesse davanti al “mostro” che alimentava l’angoscia dentro di noi.
E’ curioso scoprire che noi nasciamo con due sole paure: quella di cadere e quella dei rumori forti. Tutte le altre le “apprendiamo” crescendo…
E la paura frena, blocca le gambe, impedisce il respiro, “accartoccia” lo stomaco, aggroviglia le mani, “suda” imperlando fronte e vestiti. Parte dalla zona più antica del nostro cervello, una mandorlina innocua detta amigdala (deriva sempre dal greco e prende il significato dalla sua stessa forma, appunto, di mandorla) che aveva, e mantiene, lo scopo di difenderci dai pericoli…anche ora che non si tratta di bestie feroci che scoprono i denti ma semplicemente dal nostro cellulare finito nelle mani sbagliate, senza avere inserito il codice di blocco!
E allora cosa possiamo fare? Come passare dalla paralisi all’azione? Cosa genera dentro di noi la capacità di sovvertire questo blocco, trasformandolo in forza propulsiva, esattamente come si tira il gomito indietro, per scagliare con forza la freccia che può centrare il bersaglio?
Ovviamente stavo scherzando, è impossibile!
Non siamo capaci di fermarci, abbassare le palpebre e respirare, profondamente, inspirando dal naso e lasciando fluire l’aria dalla bocca, contando fino a dieci, immaginando di essere proprio in quel luogo che ci fa sentire protetti, al sicuro, confortati e coccolati. E poi riaprire gli occhi ed ascoltate il sorriso che si diffonde sulle nostre labbra mentre pensiamo che siamo ancora qui. Vivi.
Non possiamo esercitare la nostra ironia scegliendo il video di un telegiornale, togliendo l’audio e facendolo andare velocissimo come fosse un film di Stanlio e Ollio. E poi di nuovo indietro, lasciando partire, come sottofondo, la nostra musica preferita. E intanto sentire le nostre risate che riempiono la gola.
Non ci è consentito di essere grati per la possibilità di meravigliarci ancora davanti ad un tramonto, di provare una gioia immensa nell’essere sani, avere un lavoro, poter andare a correre la mattina, organizzare un pranzo od un aperitivo di compleanno alle 16. Non possiamo bearci dei chilometri risparmiati per riunioni inutili o di avere avuto il tempo di goderci quella serie che non riuscivamo mai a vedere. O di avere finalmente letto “Delitto e castigo”.
Non possiamo essere felici.
O sì?
Barbara Fiori
Happiness coach