Negli anni ’20 del secolo scorso le multinazionali americane del tabacco chiesero lumi ad Edward Bernays, nipote di Freud e gran conoscitore dei meccanismi decisionali di consumo delle masse, sul come far decollare le vendite di sigarette.
Egli consigliò loro di utilizzare il cinema per veicolare il messaggio pubblicitario visto il grande successo che stava riscontrando sul popolo yankee in quel periodo. I miti del cinema, da quel periodo in poi, iniziarono tutti a fumare sul megaschermo. L’uomo duro e fascinoso, il prototipo del vero maschio, che si trattasse di cowboys a cavallo oppure di altro tipo di maschio “alfa” con la pistola, doveva per forza essere associato ad un cilindretto di carta fumante che gli penzolasse dalle labbra.
Negli anni ’60 gli stessi magnati del tabacco, noncuranti dei danni che il fumo provocava, decisero di alzare il tiro: “Edward, dobbiamo far fumare anche le donne: cosa ci consigli di fare?”. Il “buon” Bernays allora ne escogitò un’altra delle sue: prese una decina di attrici, le rifornì di sigarette e le mise alla testa di un comizio di suffragette nel bel mezzo della lotta sessantottina per i diritti delle donne.
Non appena il corteo iniziò, esse estrassero i pacchetti e iniziarono a fumare. I giornalisti addestrati dal vecchio Ed si misero a scattar loro fotografie, le intervistò e il giorno seguente i quotidiani di tutto il mondo titolavano: “La donna rivendica il diritto al fumo!” o cose simili. Il messaggio era chiarissimo:
l’emancipazione e l’uguaglianza femminili passavano per una sigaretta! Ma ci rendiamo conto?
Le associazioni mentali che fa il nostro cervello sono potentissime e noi tendiamo a seguirle: se vuoi essere un vero uomo o una donna emancipata devi fumare, se lui ti lascia mangia il gelato o se lei se ne va, tu scolati una birra! La cosa allucinante sta nel fatto che i consumi o quegli atteggiamenti specifici
vengono decisi e pianificati a tavolino da gente che conosce i nostri meccanismi mentali e ci tratta come delle ignare macchine da consumo.
Per questa gente, la massa deve rimanere uniforme e non si deve correre il rischio di avere fastidiose
persone senzienti. Dobbiamo assoggettarci al mero ruolo di asini da soma che devono spaccarsi la schiena per trainare l’economia e gli interessi di pochi eletti. I meccanismi mentali di consumo non sono cambiati e noi, uomini e donne moderni, non siamo certamente migliori dei fumatori americani di 100 o 50 anni fa.
La storia si sta ripetendo con forza in questi anni, dove in nome dell’omologazione abbiamo ceduto la nostra immagine e quella dei nostri figli piccoli senza chiederglielo, i nostri dati sensibili (carte di credito, indirizzo di casa, orientamento sessuale e politico, gusti e preferenze…) sono nel databese di un logaritmo in mano ad agenzie nate sullo stampo di quella di Bernays. Per anni i nostri ragazzi sono stati bombardati dai mesaggi commerciali di quegli influencer che oggi si stanno approcciando al mondo della politica spacciando per etico un mero discorso commerciale.
Nulla di nuovo sotto al sole…
Selvaggia Lucarelli, nota esperta di comunicazione, in una recente intervista sostiene che i messaggi che questi nuovi “guru” eletti a simbolo di una nuova civiltà evoluta, seguono ciò che queste agenzie gli consigliano. Il nuovo trend topic è quello della fluidità di genere, ossia la possibilità di riconoscersi ora in un genere ora in un altro. Non si sta parlando di orientamento sessuale e nemmeno di omofobia, questi semmai sono soltanto dei vessilli da sventolare all’occorrenza.
Qui si vogliono polverizzare non solo le differenze di genere ma anche quelle individuali. La pandemia in tutto questo ha avuto anch’essa un ruolo: ha accelerato questo processo grazie al distanziamento che abbiamo dovuto subire e al quale ci stiamo barbaramente abituando. Umani lobotomizzati da un pensiero comune con gli stessi gusti ed idee che vengono fatte passare l’una dopo l’altra senza nemmeno la possibilità di digerirle.
Ci stiamo abituando a troppe cose che solo un paio d’anni fa ci sarebbero parse inconcepibili: abbiamo
paura di un pranzo al ristorante, di entrare in un cinema, di abbracciare un amico… “Tutti distanti, tutti uguali!” potrebbe essere lo slogan di questo movimento che mira ad un lavaggio di cervello collettivo con dottrine “buone&giuste”, e chi osa contraddire il dogma deve essere squalificato, deriso, emarginato o rieducato con forza.
Io non voglio arrendermi e nemmeno voglio rintanarmi in una riserva indiana per poi essere visitato e fotografato dai turisti con la mascherina.
Qualche decennio fa ci hanno inoculato l’idea che l’emancipazione passasse per un pacchetto di sigarette, oggi invece la dottrina c’insegna che per poter affermare di essere nel giusto bisogna rivendicare il diritto di smaltarsi le unghie.
Ai seguaci non importa nemmeno se chi ce lo dice è anche il testimonial o il produttore della lacca. Sono simboli e comportamenti innocui all’apparenza, ma che stanno entrando nelle nostre vite modificandole senza il nostro permesso.
Quando vedi le persone camminare in bosco da sole con la mascherina, come mi è capitato personalmente più di qualche volta, allora lì capisci che il messaggio ha centrato perfettamente il bersaglio!