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Un momento della rissa ai Navigli di Milano

Viviamo in un paese per bande: giovani dimenticati e colpevolizzati

Siamo tutti molto preoccupati per il deragliamento sociale che ha colpito molte zone delle nostre città dove a farla da padrone, in negativo s’intende, sono molti giovani e giovanissimi. Sono sempre più frequenti atti di vandalismo, stati alterati di ubriachezza, estorsioni e vili atti di violenza fisica e verbale che molte volte, per paura di ritorsioni, rimangono impuniti.

Sono fatti che accadono quotidianamente e sono sotto gli occhi di tutti e sui quali non sempre si interviene per tempo. Non si può lasciare una piazza, un giardino, un fast food, una scalinata, un vicolo, una pineta e nemmeno un bagno di una scuola in mano a bande di ragazzini senza controllo e poi rimanere sorpresi che in quei luoghi accadano certe cose. Bisogna tener presente che i bulli, i vandali o qualsiasi altra etichetta vogliate affibbiare addosso a questi soggetti, sono giovani che per loro natura hanno un
estremo bisogno di essere visti, guardati ed indirizzati.

Non lo fanno le famiglie, non ci riesce la scuola o le forze dell’ordine? Bene, allora laddove queste istituzioni non riescono a compiere quest’opera di educazione/persuasione civica, la dobbiamo compiere noi comuni cittadini: la società civile. Come? Innanzitutto mantenendo alta l’attenzione, cercando di abitare il territorio e quando ci è possibile instaurando un rapporto con questi ragazzi. Lo so, questo discorso potrebbe risultare stucchevole e denso di quel moralismo da pensiero unico buonista che personalmente mi dà il voltastomaco, ma non credo sia questo il caso.

Per qualche anno della mia vita ho lavorato di notte, facevo quella nobile attività di sensibilizzazione all’uso e abuso di sostanze legali ed illegali all’interno di locali e discoteche. Per tre notti a settimana si operava nei luoghi frequentati dai giovani e giovanissimi e ne ho conosciuti tanti, ho sedato molte risse, ho visto molte dinamiche relazionali che avvengono con la complicità
della notte e delle sostanze. Il nostro lavoro non si limitava soltanto dentro i locali ma talvolta poteva capitare di intervenire anche all’esterno, luogo dove spesso accadono le cose peggiori.

Da questa lunga esperienza sul campo ho capito che i ragazzi non sono tutti uguali e non si può generalizzare: con alcuni si può parlare mentre con altri il dialogo è praticamente impossibile, non lo ricercano e lo rifiutano nel modo più assoluto. In tutto questo panorama di incertezze adolescenziali, da molti anni si aggiunge il problema delle bande di minori stranieri che molte persone, per pura ideologia, non vogliono né vedere né ammettere.

Questi ragazzi si distinguono facilmente e si sentono in qualche modo diversi dai loro coetanei italiani. Forse i nostri ragazzi sono troppo molli o viziati, e questo potrebbe essere dovuto al fatto che sono sempre cresciuti in un mondo fatto di agi e consumi o perlomeno perché non hanno conosciuto la vera indigenza che c’è in altri paesi del mondo. Un minore che entra nel nostro paese
si trova catapultato in un contesto a lui alieno il che lo fa sentire ancor di più diverso. Questa diversità può portare ad un vissuto, o percezione, di rifiuto la quale crea quel malessere che si trasforma facilmente in senso di rivalsa. Accomunati da questi sentimenti, molti ragazzini senza guida si aggregano, formano un loro gruppo (alcuni lo definiscono anche: “branco”), si stabiliscono le regole naturali che lo guidano e ne si seguono i dettami.

Non riconoscere questi sentimenti a questi giovani che provengono da paesi e culture diverse dalla nostra, significa non riconoscere la loro intima sofferenza la quale li porterà ad agire anche usando la violenza. Queste azioni spesso sono soltanto la reazione a questo stato intimo di malessere. Il buonismo non può lenire questo dolore così profondo, non ha mai aiutato nessuno e mai lo farà.

Semmai può servire soltanto a gonfiare l’ego di chi vuole avere un’immagine di sé edulcorata. Chi deve lasciare la propria terra per approdare in una luogo straniero, lo fa sempre col groppo al cuore e i suoi occhi guarderanno sempre al luogo d’origine. Le volte con le quali mi sono trovato a dialogare con questi ragazzi, dietro alla scorza dura e avvelenata, ho trovato quasi sempre storie di dolore, umiliazioni e solitudine: si sentono diversi e ne hanno tutto il diritto.

La diversità è una ricchezza e andrebbe valorizzata: “Da vicino nessuno è normale” era il motto del mitico Claudio Misculin, anima e cuore dell’Accademia della Follia di Trieste. Questo sta a significare che ognuno di noi porta la sua storia e i confini di “normalità” e “diversità” andrebbero profondamente rivisti. Integrare questi ragazzi non significa far finta che questi siano uguali a tutti gli altri adolescenti, anche perché nessun adolescente è uguale all’altro. La generalizzazione è un atto di una banalità
disarmante e in molti casi è la strada che porta a pregiudizi e a discriminazioni. Non significa certo sopportare inciviltà e angherie e non è pensabile che questi ragazzi debbano essere rinchiusi in un recinto e buttare via la chiave.

Noi tutti dovremmo dare un esempio di civiltà accogliendo le loro vite e le loro storie senza far finta che siano uguali a quelle di noi autoctoni che abbiamo la fortuna di vivere tra la nostra gente e i nostri luoghi.

Viviamo in un Paese che si preoccupa di aprire bar e ristoranti mentre se ne frega se i nostri ragazzi sono davanti ad un computer mentre dovrebbero essere in palestra o su un campo da da rugby a rincorrersi. E il paradosso è che ci si scandalizza pure quando si vedono orde di persone all’aperitivo!

Proviamo ad essere la parte civile di questa nostra società.

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