La forza dell’Europa? E’ finita in lockdown

Per me, che ho vissuto la caduta del Muro di Berlino e il Trattato di Maastricht, in una età in cui forgi corpo e anima, l’Europa ha sempre rappresentato un mito e il suo rafforzamento un obiettivo. Non ho mai dubitato della sua ragione d’esistere, come si fa con un dogma. Fino a poco tempo fa.

Sì, perché il “sediagate” turco è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Presidente del Consiglio Europeo e Presidente della Commissione che, invece di far squadra, si contendono, durante una visita in Turchia, un posto a sedere.

Impossibile non prendere coscienza dell’inadeguatezza di questa Unione poco coesa e poco solidale. Gli ultimi mesi avevano, a dir il vero, già messo in luce le sue tante fragilità. L’Europa ha obiettivamente reagito con troppa lentezza davanti alla pandemia. Se in Italia il tanto agognato piano vaccinale procede a rilento, la colpa è anche della carenza di dosi. La centralizzazione della campagna acquisti dei vaccini, da parte della UE, non ha avuto gli effetti sperati. Tanti sono stati i paesi europei che, difronte alla mancanza di dosi, hanno deciso di trattare con i produttori singolarmente.

Anche le autorizzazioni, da parte degli organi di monitoraggio sui medicinali, sono state troppo lente e confuse e si è completamente sottovalutata l’importanza di ricerca, sviluppo e produzione di vaccini europei. L’Europa, intrappolata nella sua burocrazia, non si è dimostrata all’altezza di altre potenze come USA, Cina, Israele, Russia che hanno gestito la campagna vaccinale in modalità più efficiente.

Perfino il Regno Unito, da solo, ne sta venendo fuori vittorioso. La pandemia, l’abbiamo visto, è una guerra. L’Europa non capito in tempo che vaccinare tutti e subito avrebbe significato uscire prima dalla crisi economica e sociale e che la produzione interna di vaccini si sarebbe rivelata, a breve termine, una potentissima arma geopolitica.

La UE ha perso terreno e in questo contesto, purtroppo, l’Italia è apparsa come uno dei fanalini di coda. L’obiettivo “covidfree” per tanti paesi è quasi realtà, per noi un miraggio. Ma come accade davanti alle peggiori sconfitte, l’Europa può e deve rialzarsi. Di certo avrà bisogno di ripensarsi.

La naturale convergenza nell’Unione di tanti paesi accumunati da fondamentali aspetti valoriali, che spaziano dal cristianesimo alla democrazia, non è discutibile. D’altra parte non si può dimenticare che l’Europa è composta da stati molto diversi tra loro per storia, cultura, economia, caratteristiche geografiche. Ma si tratta di un valore aggiunto. Le differenze vanno messe in luce e rispettate. Se le nazioni europee sapranno prendere coscienza di questo e parallelamente collaborare in alcune materie strategiche, come politica estera, difesa, gestione dei flussi migratori, l’Europa potrà riscoprirsi più forte sia al suo interno che verso l’esterno e far valere il suo peso politico nel mondo.

Davanti a tutti questi cambiamenti e all’evidente indebolimento dell’asse franco-tedesco, il pragmatismo del Presidente del Consiglio italiano fa ben sperare. C’è da augurarsi che l’Italia, in questa nuova partita di scacchi, possa finalmente avere un ruolo di primo piano, proponendosi in Europa come una potenza di dialogo, che può, per storia e tradizione, meglio di chiunque altro, far sponda con Gran Bretagna e America.

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